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Posted 10 ottobre 2009 by Marco Coletta in Politica
 
 

Manifesto del PD – qualche considerazione – II tempo


In concomitanza, o quasi, con l’analisi politico-lessicale sviluppata da Adelio, avente ad oggetto il manifesto politico del PD, ho analizzato lo stesso documento da un’ottica che potrebbe definirsi legale, senza peccare di superbia, ricordando che anche tale analisi, per quanto possa fondarsi su basi giuridiche, è pur sempre espressione di un punto di vista personale. Le considerazioni dinanzi prospettate esulano dal muovere da un’analisi generale del manifesto (contrariamente a quanto è proprio della critica mossa da Adelio) preferendo un inquadramento schematico del discorso che tiene conto dei molteplici aspetti rilevanti, analizzandoli singolarmente.

Punto 1 – TRASPARENZA LEGALITA’ RISPETTO: viene messo in discussione il rispetto dei poc’anzi citati vincoli. Occorre in primis delucidarne il significato e chiarirne la portata, laddove probabilmente se n’è fatto un uso improprio.

Trasparenza: importa che le decisioni assunte da un organo (in questo caso di governo – rectius il Consiglio comunale) debbano essere rese pubbliche e accessibili da parte dei cittadini, e il procedimento di formazione della decisione finale sia altrettanto conoscibile.

Se non erro per quanto concerne le decisioni adottate, tutti avevano la possibilità di conoscere le medesime, altro poi è comprenderne il significato.

Legalità: a riguardo il discorso si fa in parte più complesso, ma può essere spiegato senza eccessive difficoltà. Ergo, il principio di legalità nel nostro ordinamento (come anche la dottrina più autorevole sostiene) implica che:

–          Ogni potere esercitato da un organo trovi il suo fondamento in una previa attribuzione del potere a livello legislativo, cosa che in concreto è accaduta laddove il TUEL disciplina la materia attinente il procedimento per la dichiarazione di incompatibilità dei consiglieri.

In termini più semplici il consiglio per adottare un atto quale quello che dichiara l’incompatibilità di un consigliere deve essere “abilitato” da un previo atto legislativo (cosa che avviene senz’altro in forza della legge 267/2000!). Non emerge quindi violazione alcuna del principio di legalità.

Rispetto: non ne conosco il significato giuridico, quindi scusate la laconicità a riguardo, ma almeno per ciò che va ad investire l’azione della pubblica amministrazione, la l.241/90 recante “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi” non sembra riferirsi al termine dicui sopra.

Punto 2 – Si parla di presunta incompatibilità: perché presunta??

L’art. 63 comma 1 l.267/00 recita: “Non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale: […]colui che, avendo un debito liquido ed esigibile, rispettivamente, verso il comune o la provincia ovvero verso istituto od azienda da essi dipendenti è stato legalmente messo in mora ovvero, avendo un debito liquido ed esigibile per imposte, tasse e tributi nei riguardi di detti enti, abbia ricevuto invano NOTIFICAZIONE dell’avviso di cui all’articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602”.

Non vedo perché l’incompatibilità dovrebbe dirsi presunta. Qui chi gioca con l’ignoranza della gente non è l’attuale amministrazione.

Punto 3 – Nel manifesto si sottolinea come il giusto procedimento per eccepire l’incompatibilità di un consigliere dovrebbe essere il seguente:

–          Convalidare la carica di consigliere comunale

–          Eccepire la causa di incompatibilità avverso consiglieri la cui carica sia già stata convalidata

Nel caso di specie la confutazione di questa tesi può apparire di non semplice comprensione, ma andiamo al sodo.

La tesi sopra prospettata non trova fondamento normativo alcuno, e il tutto può essere spiegato con riferimento:

–          all’art. 41 comma  1  l.267/00 il quale recita: “Nella prima seduta il consiglio comunale e provinciale, prima di deliberare su qualsiasi altro oggetto, ancorché non sia stato prodotto alcun reclamo, deve esaminare la condizione degli eletti a norma del capo II titolo III e dichiarare la ineleggibilità di essi quando sussista alcuna delle cause ivi previste, provvedendo secondo la procedura indicata dall’articolo 69”.

–          all’art. 69 comma 1 l.267/00 in cui si dispone che:  “Quando successivamente alla elezione si verifichi qualcuna delle condizioni previste dal presente capo come causa di ineleggibilità ovvero esista al momento della elezione o si verifichi successivamente qualcuna delle condizioni di incompatibilità previste dal presente capo il consiglio di cui l’interessato (rectius l’amministratore)  fa parte gliela contesta”.

L’art. 41 chiaramente subordina la possibilità di adottare qualsiasi decisione vincolante in sede consiliare, alla previa dichiarazione di ineleggibilità. Sicché anche la dichiarazione di convalida è subordinata alla previa dichiarazione di incompatibilità, ed è chiaro che eccependo una tale causa non possa procedersi alla convalida della carica consiliare.

L’art. 69 parla di quelle cause di incompatibilità – ineleggibilità che vengono in essere successivamente al momento delle elezioni. In tal caso è chiaro come l’interessato potrebbe già essere titolare di una carica consiliare, si ammette pertanto la possibilità di dichiarare l’incompatibilità anche a seguito di un atto di convalida.

E’ opportuno a riguardo fare altresì riferimento alle funzioni svolte dalla “Giunta Parlamentare delle Elezioni”, la quale giudica sulle cause di ineleggibilità – incompatibilità dei parlamentari, andando quindi a toccare una materia analoga a quella oggetto del nostro interesse.  In quest’ambito viene in rilievo il regolamento interno della Giunta, in particolare l’Art.4, in cui si dispone che:

–          Nell’ambito dell’attività di verifica dei risultati elettorali, la Giunta può sempre disporre, su proposta del relatore o di un componente, sino alla convalida definitiva dell’elezione da parte dell’assemblea, la revisione delle schede nulle, bianche e contestate, nonché, ove necessario, delle schede valide e di tutti i documenti elettorali.

La parte evidenziata, mette in luce come la Giunta svolga la propria attività, prima che l’assemblea convalidi le elezioni! E le attività della giunta riguardano proprio, come già detto, la verifica dell’esistenza di cause di incompatibilità.

In tal senso mi giunge difficile comprendere perché il procedimento di cui si fa cenno nel manifesto possa dirsi legittimo, e di converso, quello che si è concretamente seguito possa invece qualificarsi illegittimo. Anzi, la questione dovrebbe porsi in termini diametralmente opposti. Ancora, non vi sembra contraddittorio che il consiglio prima convalidi la carica di consigliere e poi eccepisca la sussistenza di cause di incompatibilità? Come se il consiglio, pur conoscendo della situazione di fatto, ne avesse demarcato l’importanza. Si delineerebbe una contraddizione in termini, o meglio un ossimoro: LA CONVALIDA DI UNA CAUSA DI INCOMPATIBILITA’ (per buttarla sul lato ironico).

Punto  4: non viene effettuata la votazione relativa all’immediata esecutività dell’atto che va a notificare al consigliere la sussistenza di una causa di incompatibilità. Sul punto non credo ci sia nulla da eccepire, ma a riguardo mi chiedo: se l’atto non era immediatamente esecutivo, da quale momento avrebbe dovuto avere efficacia? Dal giorno successivo a quello della pubblicazione (così come avviene per i DL)? O era necessario il decorso della vacatio legis?

Quindi, se almeno fosse stato spiegato il momento dal quale l’atto poteva dirsi efficace, il discorso sarebbe stato senz’altro di più facile comprensione, piuttosto che rifugiarsi nell’utilizzo di mezzi termini.

Punto 5: viene nuovamente ricalcata la necessità che si procedesse a una convalida della carica del consigliere “contestato”, sì da permettere al consiglio di operare in maniera legittima. Avendo già spiegato i motivi che ostano alla possibilità di dare adito al procedimento di cui al manifesto in questione, il profilo che viene in essere è quello dell’adozione di atti in sede consiliare laddove il consiglio non è composto da 12 consiglieri bensì da 11.

Ricordo che il numero legale che permette al consiglio di riunirsi è pari al 50% + 1 dei componenti, ed è indubbio che 11 consiglieri su 12 realizzino un quorum strutturale senz’altro maggiore del 50% + 1. Da questo punto di vista perciò, gli atti adottati dal consiglio potrebbero dirsi validi ed efficaci.  Tuttavia non nascondo che ho qualche dubbio riguardo il fatto che potrebbe essere comunque necessario che il consiglio venga in primis a convalidare la carica di 12 consiglieri, per poi adottare decisioni vincolanti anche attraverso la presenza di solo 7 consiglieri (50% + 1), ma se davvero si vuole avvalorare questa tesi, lo si faccia con riferimento a fonti normative precise, e non per opinioni personali.

Punto 6: si dà attenzione alle vicende che hanno interessato due consiglieri di minoranza, che nel giorno stesso in cui si sarebbe dovuto svolgere (come poi si è effettivamente svolto) il consiglio comunale, si recavano presso la sede del municipio per avere visione degli atti che reputavano utili al fine di espletare, così come cita il manifesto, “quel diritto – dovere (rectius. funzione) di controllo, azione tipicamente e squisitamente propria della minoranza”.

In tal senso la versione dei fatti che emerge da una lettura del manifesto, tende a far trasparire come ai consiglieri di minoranza sia stata negata la possibilità di visionare per intero i documenti oggetto di richiesta.

Diversamente, da quanto dichiarato nel corso dell’ultima seduta del consiglio comunale, tenutosi in data 25 settembre 2009, il sindaco Ferdinando Carmosino, rilevava come la visione degli atti si fosse invero svolta correttamente, giacché i consiglieri di minoranza avevano ricevuto in visione tutti, e non parte soltanto, degli atti utili per la partecipazione al consiglio comunale.

Pur non volendo avvalorare la tesi prospettata dal Carmosino, e muovendo quindi dalla fattispecie che si ricava dal manifesto, pare opportuno individuare quelle norme giuridiche che possono soccorrere nel caso di specie a sostegno o meno della tesi prospettata nello stesso manifesto politico.

La richiesta sollevata dalla minoranza, si inquadra nel più ampio genus del cd. accesso agli atti.

A riguardo indubbio è il doveroso riferimento al dec. lgs. 267/00 (TUEL).

Gli atti di cui si discute nel caso di specie, possono essere qualificati come atti giuridicamente rilevanti, posti in essere da un ente territoriale (il Comune) nelle materie di propria competenza. Si andranno quindi a esaminare quelle disposizioni del TUEL che nella fattispecie possono trovare concreta applicazione.

–          L’art. 7 dec.lgs. 267/00 dispone che: “Nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dello statuto, il comune e la provincia adottano regolamenti […]per l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni e degli organismi di partecipazione, per il funzionamento degli organi e degli uffici e per l’esercizio delle funzioni”.

–          Ancora, l’art.10 comma 1 dec.lgs. 267/00 precisa che: “Tutti gli atti dell’amministrazione comunale e provinciale sono pubblici […]”. E in aggiunta sempre nella medesima direzione sembra muoversi il comma 2 dello stesso articolo, anzi rafforzando e specificando la portata del comma 1, laddove il legislatore ha disposto che: “Il regolamento assicura ai cittadini, singoli e associati, il diritto di accesso agli atti amministrativi e disciplina il rilascio di copie di atti previo pagamento dei soli costi; […]assicura il diritto dei cittadini di accedere, in generale, alle informazioni di cui è in possesso l’amministrazione.”

Il che lascia intravedere come la disciplina dell’accesso agli atti debba sostanzialmente ricavarsi dal combinato disposto dello Statuto comunale, nonché dei regolamenti adottati dall’ente stesso.

Il problema sorge nel momento in cui lo Statuto comunale contempla sì la fattispecie dell’accesso agli atti, come emerge dall’esame dell’art. 67 , ma al tempo stesso, e da quanto mi è stato dato modo di comprendere, l’ente sembra essere sprovvisto di una disciplina regolamentare che vada a prendere in considerazione lo sviluppo del procedimento in questione. Il problema tuttavia neppure si pone, laddove nel momento in cui può discutersi sulla legittima assenza o meno di regolamenti a riguardo, soccorrono le disposizioni dello Statuto comunale che espressamente fanno riferimento all’oggetto del nostro interesse. È perciò necessario e sufficiente muovere da un’analisi dello Statuto.

In tal senso, la formulazione dell’art.67 viene così a presentarsi:

–          Al comma 1 si dispone che: “ogni cittadino ha diritto di prendere visione degli atti dell’amministrazione comunale aventi rilevanza esterna”.

–          Il comma 2 sembra derogare, o meglio, va a porre in essere un’eccezione nei confronti di quanto disposto al comma 1, laddove cita: “possono essere sottratti alla consultazione soltanto gli atti che esplicite disposizioni legislative dichiarano riservati o sottoposti a limite di divulgazione”.

La predetta disposizione contempla quindi l’eventualità che taluni atti possano non essere visionati (rectius. resi pubblici), ma il tutto è subordinato a una espressa previsione legislativa, ciò che non sembra avvenire nel caso di specie per quel che attiene ad atti concernenti lo svolgimento del consiglio comunale. Continuiamo però ad analizzare l’art.67, senza giungere a conclusioni affrettate ed erronee.

–          Da una lettura del comma 3 emerge come la consultazione degli atti debba avvenire senza particolari formalità, il che avvalorerebbe la tesi in forza della quale i consiglieri di minoranza sarebbero stati illegittimamente privati dell’esercizio di una loro funzione.

–          Ma quanto appena detto potrebbe ben essere smentito dal comma 4 dell’art.67, il quale va a fare riferimento al caso in cui l’accoglimento della richiesta informale non possa intervenire in via immediata “qualora sorgano dubbi […]sulla sussistenza dell’interesse alla stregua delle informazioni e delle documentazioni fornite, o sull’accessibilità del documento.” Nel qual caso “il richiedente è invitato contestualmente a presentare istanza, su apposito formulario fornito gratuitamente dal comune”

In realtà va ravvisato come indubbio sia l’interesse dei consiglieri di minoranza ad avere visione degli atti di cui si discute, ed anche volendo muovere da una tesi che andrebbe a confutare quanto appena ravvisato, si necessiterebbe di solide basi per dimostrare come un interesse nel caso di specie non vi fosse. Basi che sono, se non di impossibile, almeno di difficile individuazione.

–          Da ultimo di spiccato rilievo è il comma 5 art.67 statuto comunale, il quale così si presenta: “l’ufficio che detiene l’atto oggetto di accesso fornisce tutte le informazioni sulle modalità di esercizio del diritto di accesso […]”.

Rilevante è il fatto che il comma 5 si riferisca ad un ufficio, il che lascia presupporre che tutte le richieste di accesso agli atti propri dell’ente comunale, debbano essere indirizzate al titolare o meglio al soggetto preposto ad un ufficio interno al Comune. Ciò che al contrario non si è verificato nel caso di specie, giacché la richiesta è stata sollevata nei confronti di due Assessori, i quali in tal modo ben si sarebbero potuti opporre a suddetta richiesta.

L’analisi del caso sarebbe comunque tuttavia incompleta se non si facesse altresì riferimento al DPR 352/92, cui peraltro lo statuto comunale, e in particolare l’art.67 di quest’ultimo, sembra ispirarsi.

–          L’art.5 dpr. 352/92 va a disciplinare le fasi dell’accoglimento della richiesta e delle modalità di accesso agli atti, secondo quanto emerge dal titolo stesso della disposizione.

E al comma 4 si dispone che: “L’esame dei documenti avviene presso l’ufficio indicato nell’atto di accoglimento della richiesta, nelle ore di ufficio, alla presenza, ove necessaria, di personale addetto”.

La formulazione del comma  4 art.5 dpr. 352/92 deve far riflettere in tal senso. Il legislatore, ha ravvisato l’esigenza di permettere sì un accesso agli atti amministrativi volto a realizzare esigenze di pubblicità, le più ampie possibili, ma al tempo stesso non ha mancato di fare oggetto di disciplina le modalità che permettono la realizzazione di quest’interesse proprio di ciascun cittadino, ovvero quello di accedere agli atti di proprio interesse, laddove ha, con norma cogente, imposto la necessità che simili procedure si svolgano solo ed esclusivamente negli orari in cui gli uffici sono aperti al pubblico.

Nel momento in cui, almeno per quel che mi è parso di capire, le vicende hanno avuto luogo in un orario in cui gli uffici presso i quali la richiesta andava presentata o depositata non erano aperti al pubblico, non sembra essere censurabile  il rifiuto (eventuale, perché ricordo che in tal senso il Carmosino ha già chiarito come i consiglieri avessero avuto la possibilità di accedere agli atti) degli assessori di permettere agli interessati la visione quanto richiesto.

Il che lascia concludere come anche in tal senso il caso di specie, presentato da chi ha redatto il manifesto politico peccava di laconicità, ma aggiungerei, per fortuna, viste le già eccessive dimensioni del “lenzuolo”.

Marco Coletta

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Marco Coletta